La verità sul lavoro domestico: ecco perché le casalinghe dovrebbero essere stipendiati

Il lavoro domestico rappresenta da sempre un pilastro invisibile della società, essenziale per il benessere delle famiglie e la coesione sociale, ma storicamente sottovalutato sia sul piano economico sia da quello dei diritti. In Italia, il lavoro delle casalinghe costituisce una vera e propria economia sommersa, priva di riconoscimento formale e spesso ignorata nelle statistiche ufficiali sul lavoro e nella misurazione della ricchezza nazionale. Ciononostante, i dati e le analisi più recenti confermano che il contributo delle donne che si occupano della gestione della casa e della cura dei familiari equivale, in termini di valore economico, a un settore produttivo strategico.

L’impatto economico del lavoro domestico “invisibile”

Secondo le ultime stime dell’Osservatorio Domina e dati Istat, oltre 3,3 milioni di persone in Italia sono impegnate nel lavoro domestico, se si conteggia sia chi è assunto regolarmente che chi lavora in modo informale. È una cifra impressionante, che supera di gran lunga quella degli occupati in settori come l’agricoltura o la ristorazione. Limitando lo sguardo al solo lavoro domestico regolare (colf, badanti, collaboratori), si produce ogni anno un valore aggiunto di 15,8 miliardi di euro, ovvero il 1% del PIL. Ma se si allarga la visione all’intero comparto della “care economy”, che include tutte le attività di cura e accudimento, il peso economico sale a 84,4 miliardi di euro, pari al 4,4% del PIL nazionale.

Il lavoro domestico garantisce anche un risparmio di 6 miliardi di euro allo Stato: senza questo supporto familiare, lo Stato dovrebbe provvedere direttamente alla cura degli anziani e dei più deboli, con costi enormi per il sistema pubblico. Inoltre, la spesa annua delle famiglie italiane per lavoratori domestici (tra regolare e sommerso) si attesta sui 13 miliardi, di cui 7,6 destinati al settore tracciato e 5,4 a quello irregolare. Questi investimenti privati generano oltre 21,9 miliardi di valore di produzione e più di 253 milioni di nuove ore di lavoro annuali, rendendo il settore un vero e proprio volano economico.

Le mansioni delle casalinghe tra professionalità e multidisciplinarità

Le casalinghe svolgono una molteplicità di mansioni altamente qualificate che, se retribuite secondo i tariffari di mercato, le collocano tra le figure professionali più versatili e preziose. Solo per citare le principali:

  • Gestione delle pulizie domestiche: attività fisicamente impegnativa, spesso quotidiana, con orari prolungati e responsabilità igienico-sanitarie.
  • Cura e preparazione dei pasti: capacità di organizzare, cucinare secondo fabbisogni specifici, spesso con attenzione ai bilanci nutrizionali.
  • Gestione economica e amministrativa della casa: pianificazione delle spese, gestione dei fornitori, programmazione delle attività familiari.
  • Supporto psicologico ed educativo per figli e parenti: la figura di educatrice, insegnante privata, psicologa familiare e consulente relazionale è spesso incorporata in quella della casalinga.
  • Assistenza ad anziani, malati o persone fragili: prestazioni assimilabili a quelle di una badante o di un assistente domiciliare, con competenze sociosanitarie di base.

Una ricerca della società americana Salary.com ha stimato che, sommando il valore di diverse mansioni “parcellizzate” (pulizie, cucina, autista, amministrazione, supporto psicologico, tutoraggio scolastico), una casalinga varrebbe quasi 7.000 euro al mese, per un totale di oltre 80.000 euro l’anno. Si tratta di dati indicativi, ma utili a evidenziare la sproporzione rispetto al valore economico reale e quello percepito dalla società.

Il riconoscimento economico e i diritti mancati

Nonostante il ruolo centrale delle casalinghe, in Italia non esiste uno stipendio per il lavoro domestico familiare. Esistono alcuni rari casi di “ristoro” o mantenimento riconosciuti dai tribunali in sede di separazione, quando il contributo domestico di un coniuge viene equiparato a una prestazione lavorativa vera e propria. In Cina, ad esempio, la recente riforma del Codice Civile ha previsto, in caso di divorzio, un risarcimento a beneficio del coniuge gravato da compiti “addizionali” di cura ed educazione.

Nel nostro Paese, nonostante alcune proposte di legge e iniziative parlamentari, il dibattito sul valore sociale ed economico del lavoro domestico non riconosciuto resta aperto, anche in ragione dell’alto tasso di irregolarità e della mancanza di tutele previdenziali. Nel 2022, secondo l’Istat, il 47,1% del lavoro domestico era svolto in nero, con gravi ripercussioni su sicurezza, accesso ai servizi sanitari e previdenza sociale delle lavoratrici.

Le ragioni del riconoscimento e le sfide per il futuro

Perché sarebbe giusto riconoscere uno stipendio o una forma di compenso alle casalinghe?

  • Equità sociale ed economica: valorizzare il lavoro domestico significa equiparare i diritti delle donne (e degli uomini) che scelgono di dedicarsi alla famiglia a quelli di chi lavora fuori casa, superando il dualismo tra lavoro produttivo e riproduttivo.
  • Giustizia previdenziale: l’assenza di contributi regolari condanna molte donne alla povertà in età avanzata e priva l’intera società di una base previdenziale solida.
  • Riconoscimento delle competenze: il lavoro domestico richiede competenze complesse e trasversali, spesso acquisite con l’esperienza e la formazione “sul campo”, degne di essere riconosciute e valorizzate anche attraverso percorsi di formazione e certificazione.
  • Stimolo all’occupazione femminile: misure di sostegno economico, come bonus, crediti formativi o “salari di cittadinanza” per attività non retribuite, potrebbero essere usate anche per promuovere l’autonomia femminile e accompagnare gradualmente il reinserimento lavorativo di chi lo desidera.

Le soluzioni possibili comprendono:

  • La creazione di una protezione pensionistica per chi svolge attività domestica a tempo pieno, magari attraverso contributi figurativi o fondi dedicati.
  • La promozione di misure fiscali che incentivino la regolarizzazione delle posizioni lavorative e la concessione di bonus mirati.
  • Il rafforzamento del riconoscimento formale e simbolico mediante campagne sociali e culturali volte a cambiare la percezione della natura professionale del lavoro domestico.

In definitiva, solo attraverso politiche innovative e inclusive sarà possibile colmare il divario di diritti e riconoscimento fra lavoro domestico e altri settori produttivi, contribuendo a costruire una società realmente equa, solidale e consapevole del valore di tutte le attività utili al benessere collettivo.

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