Quando si tratta di valutare il rischio di infarto e ictus, il colesterolo rappresenta senza dubbio un parametro importante, ma non è l’unico indicatore da prendere in considerazione. Il focus esclusivo sui valori del colesterolo può risultare fuorviante, poiché il rischio cardiovascolare si basa su una molteplicità di fattori e valori clinici che interagiscono tra loro e che, insieme, determinano la probabilità reale di andare incontro a eventi acuti come infarto del miocardio e ictus cerebrale.
I limiti della valutazione del colesterolo
Il valore assoluto del colesterolo, sia totale sia frazionato come colesterolo LDL (il cosiddetto “cattivo”), è stato per decenni l’unico pilastro nella valutazione del rischio cardiovascolare individuale. È innegabile che elevati livelli di LDL rappresentino un fattore di rischio causale e ben riconosciuto per danni al cuore e ai vasi sanguigni, come dimostrato da un’ampia letteratura scientifica e da dati epidemiologici significativi. In Italia, ad esempio, circa la metà della popolazione presenta valori superiori alle soglie di sicurezza. Tuttavia, ridurre tutto alla mera lettura di quel singolo numero restituito dalle analisi di laboratorio sarebbe eccessivamente semplicistico e poco risolutivo per la stratificazione del rischio.
Innanzitutto, il colesterolo LDL non va interpretato isolatamente, ma contestualizzato rispetto ad altri elementi: storia clinica personale, presenza di altre malattie metaboliche (come il diabete), stili di vita e soprattutto interazione con ulteriori parametri ematici e fisiologici che contribuiscono all’insorgenza di eventi cardiovascolari.
Gli altri parametri chiave per il rischio cardiovascolare
La moderna valutazione del rischio di infarto e ictus poggia su un approccio multidimensionale. Gli esperti raccomandano, oltre al colesterolo, il monitoraggio e la gestione di una serie di valori e condizioni cliniche che, nella loro sinergia, contribuiscono in modo sostanziale ad aumentare o diminuire il rischio globale della persona:
- Pressione arteriosa: L’ipertensione arteriosa è universalmente riconosciuta come uno dei principali fattori di rischio per ictus e infarto. Valori costantemente superiori a 140/90 mmHg, o anche a livelli inferiori in presenza di altri fattori di rischio, richiedono particolare attenzione e spesso terapia stabile.
- Glicemia e diabete: Livelli elevati di zuccheri nel sangue e diagnosi di diabete mellito rappresentano un acceleratore del rischio cardiovascolare. L’iperglicemia contribuisce alla formazione e all’instabilità della placca aterosclerotica, aumentando tanto il rischio di coronaropatia quanto di eventi cerebrovascolari.
- Colesterolo HDL (“buono”): Oltre al colesterolo LDL, risulta fondamentale valutare il livello di colesterolo HDL, che svolge una funzione protettiva nei confronti delle arterie (rimozione del colesterolo in eccesso dalle pareti vascolari). Valori inferiori a 35 mg/dl indicano maggiore rischio, mentre livelli pari o superiori a 50 mg/dl offrono maggiore protezione.
- Trigliceridi: Anche se spesso sottovalutati, livelli eccessivi di trigliceridi (superiori a 150 mg/dl) contribuiscono ad aumentare il rischio di aterosclerosi e quindi di eventi cardiovascolari, specialmente se associati ad altri marcatori alterati.
- Peso corporeo e circonferenza addominale: La presenza di sovrappeso o obesità, in particolare la distribuzione del grasso a livello viscerale (addome), favorisce l’insorgenza di dislipidemie, ipertensione e insulino-resistenza, ponendo le basi per una maggiore probabilità di infarto e ictus.
- Fumo di sigaretta: Il tabagismo esercita un effetto negativo diretto sulle arterie, promuovendo l’infiammazione endoteliale e la formazione di placche aterosclerotiche instabili. Fumare anche solo qualche sigaretta al giorno moltiplica il rischio cardiovascolare.
- Stile di vita: La sedentarietà, una dieta squilibrata, abuso di alcol e stress cronico rappresentano fattori modificabili incisivi per la prevenzione.
Valori di riferimento: cosa dicono le linee guida?
Secondo le più autorevoli linee guida nazionali e internazionali, i valori considerati ottimali per minimizzare il rischio, laddove non esistano particolari condizioni cliniche concomitanti, sono i seguenti:
- LDL: inferiore a 100 mg/dl, ma in soggetti con rischio già aumentato si raccomanda spesso la soglia di 70 mg/dl o anche meno.
- HDL: almeno 50 mg/dl, idealmente superiore, soprattutto nelle donne.
- Colesterolemia totale: entro i 200 mg/dl.
- Pressione arteriosa: inferiore a 140/90 mmHg, ideale < 120/80 mmHg.
- Glicemia: a digiuno inferiore a 100 mg/dl.
- Trigliceridi: inferiori a 150 mg/dl.
La presenza di valori fuori dai range menzionati, soprattutto in associazione, richiede un’attenta valutazione medica e una possibile stratificazione del rischio personalizzata, tenendo conto delle caratteristiche individuali e familiari della persona.
Importanza della valutazione globale e del consulto medico
Il concetto attuale di prevenzione cardiovascolare supera il vecchio approccio di controllo del solo colesterolo. Per valutare realmente il rischio e ridurlo in modo efficace serve l’integrazione tra diversi parametri di laboratorio, lo stile di vita e lo status clinico complessivo del paziente. Inoltre, la minima alterazione anche di uno solo di questi valori può essere più o meno rischiosa in base alle caratteristiche del singolo.
I medici usano perciò score di rischio validati come il SCORE europeo, il Framingham Risk Score o il più recente calcolatore italiano, che tengono conto di età, sesso, colesterolemia, pressione, fumo e altre abitudini per fornire una valutazione integrata e personalizzata della probabilità di infarto e ictus nei successivi 10 anni. Questi strumenti sono preferibili rispetto al semplice sguardo ai valori numerici di colesterolo e sono indispensabili in fase di prevenzione primaria e secondaria.
Non bisogna infine dimenticare fattori non modificabili come l’età avanzata, la familiarità per patologie cardiovascolari e il sesso maschile, che concorrono a determinare un rischio maggiore indipendentemente dalle analisi di laboratorio.
Nuovi biomarcatori e prospettive future
La ricerca scientifica attuale sta ampliando gli orizzonti verso l’uso di biomarcatori emergenti. Tra questi, la valutazione di eventuali marcatori infiammatori (come la proteina C-reattiva ultrasensibile) e, più recentemente, lo studio del microbiota intestinale. È stato dimostrato che alcune alterazioni qualitative e quantitative dei microrganismi intestinali possono giocare un ruolo chiave nell’insorgenza e nella progressione delle patologie cardiovascolari, modulando il rischio in modo indipendente dai tradizionali valori ematici di colesterolo e glicemia. Questo rende il panorama della prevenzione cardiovascolare ancora più articolato e bisognoso di una visione su misura e multidisciplinare.
In conclusione, il colesterolo è solo una parte del quadro: la stima reale del rischio cardiovascolare deve sempre passare attraverso la valutazione di un mix di parametri, valori clinici e comportamenti individuali. La ricerca continua a individuare nuovi “segnali” e predittori, ma la prevenzione resta ancorata a una valutazione globale e integrata, alla modifica dei fattori di rischio e a un costante dialogo con il medico di fiducia.