Le mascherine chirurgiche sono diventate parte integrante della quotidianità nel contesto della pandemia, ma il loro impiego ha suscitato numerose domande, soprattutto in merito alla possibilità di riutilizzarle e alle corrette modalità di lavaggio. Spesso, si presume che sia sufficiente igienizzare questi dispositivi con acqua e detergente per poterli indossare nuovamente, ma la realtà dei fatti è ben diversa e fortemente discussa tra autorità sanitarie, comunità scientifica e opinione pubblica.
Mascherine chirurgiche: dispositivo monouso o riutilizzabile?
Da un punto di vista ufficiale, le mascherine chirurgiche sono classificate come dispositivi monouso. È l’indicazione ribadita da organismi come l’Istituto Superiore di Sanità e il Ministero della Salute: questi prodotti sono pensati per essere utilizzati una sola volta e poi smaltiti affinché mantengano le loro proprietà filtranti e la sicurezza dell’utente. L’Istituto Superiore di Sanità ha sottolineato in modo esplicito che per le mascherine chirurgiche non è consigliato il riutilizzo e neppure il ricondizionamento, contrariamente a quanto può avvenire per dispositivi specificamente indicati come riutilizzabili, come alcune tipologie di mascherine in tessuto o filtranti FFP2 e FFP3 dotate di certificazione per più utilizzi. Il motivo risiede principalmente nella struttura multistrato di materiali sintetici che, se sottoposti a processi di lavaggio, potrebbero degradarsi e perdere l’efficacia protettiva.
Nonostante questo quadro normativo, si sono sollevate domande su possibili strategie per prolungare la vita delle mascherine chirurgiche, soprattutto in fase emergenziale o laddove la produzione di rifiuti costituisca una criticità ambientale. In situazioni di breve utilizzo e in assenza di evidenti contaminazioni, alcuni esperti hanno aperto alla possibilità dell’uso prolungato ed estremamente limitato riutilizzo, sottolineando tuttavia la necessità di adottare particolari accorgimenti per conservare intatte le proprietà filtranti.
Cosa dicono i test indipendenti sul lavaggio?
Negli ultimi anni, per rispondere alle problematiche ambientali generate dallo smaltimento massivo di mascherine usa e getta, sono stati condotti diversi test indipendenti. Uno dei più noti, realizzato da Altroconsumo, ha analizzato la possibilità concreta di lavare e riutilizzare le mascherine chirurgiche, almeno in contesti specifici come le scuole. I ricercatori hanno sottoposto diverse mascherine distribuite nelle aule italiane a cicli di lavaggio in lavatrice, a 60 gradi, per verificarne la tenuta in termini di filtrazione e traspirabilità.
Il risultato è stato sorprendente: tutte le mascherine testate hanno mantenuto intatte le proprietà filtranti anche dopo cinque cicli di lavaggio e, in alcuni casi, è stata osservata perfino una maggiore traspirabilità. Una sperimentazione analoga, condotta da diversi enti in Francia, ha confermato la possibilità di lavare le mascherine chirurgiche a 60°C e riutilizzarle fino a dieci volte senza rilevanti perdite di efficacia. Tuttavia, questi studi presentano dei limiti: si riferiscono a particolari marche o lotti di mascherine, non sono rappresentativi di tutti i modelli in commercio e non hanno trovato riscontro o approvazione formale dalle principali agenzie sanitarie internazionali. È importante sottolineare che si tratta di dati sperimentali e non di una raccomandazione ufficiale.
Le differenze con le mascherine in tessuto e il corretto lavaggio
Le indicazioni variano radicalmente per le mascherine realizzate in tessuto, progettate esplicitamente per essere riutilizzate e lavate più volte durante il loro ciclo di vita. Per queste mascherine, il lavaggio deve avvenire seguendo con attenzione le istruzioni del produttore. Un lavaggio troppo aggressivo, come quello a 60 gradi, può dilatare eccessivamente la trama del tessuto e ridurre l’efficacia contro i microorganismi. Metodi consigliati prevedono l’immersione della mascherina in una soluzione con Soda Solvay e poi l’utilizzo di un igienizzante delicato, evitando il risciacquo e lasciando asciugare completamente il dispositivo prima di indossarlo di nuovo.
Queste procedure, specifiche per i tessuti, non devono mai essere applicate alle mascherine chirurgiche monouso, che sono composte da materiali plastici e lavorati in modo tale da perdere struttura e funzionalità se sottoposti a umidità e alte temperature.
- Le mascherine chirurgiche non sono pensate per essere lavate: tentare di igienizzarle può compromettere irreversibilmente la capacità filtrante degli strati interni e la resistenza complessiva della mascherina chirurgica.
- Le mascherine in tessuto sono progettate per essere lavate e riutilizzate, ma solo rispettando scrupolosamente le indicazioni del produttore. Utilizzare metodi non autorizzati può rendere vano ogni tentativo di protezione individuale.
- I simboli presenti sulle confezioni (come il disegno di un cestello della lavatrice barrato) indicano chiaramente la non lavabilità: è fondamentale consultare queste informazioni per evitare errori.
Uso prolungato e accorgimenti pratici
Dal punto di vista pratico, il prolungamento dell’uso della mascherina chirurgica è consentito solo in specifiche circostanze. Se la mascherina non si è bagnata, non presenta tracce evidenti di sporco, non è stata indossata da un soggetto sintomatico e non c’è stata contaminazione, alcuni esperti suggeriscono che può essere conservata e utilizzata per poche ore in ambienti simili, avendo cura di riporla in un contenitore pulito e traspirante, come una busta di carta. In nessun caso, però, si consiglia di tentare il lavaggio con acqua o detergenti, neanche come misura d’emergenza: anche un solo lavaggio può alterare le proprietà dei microfibre sintetiche che costituiscono la barriera filtrante interna.
Alcuni consigli utili per chi, per necessità, deve indossare la stessa mascherina per un tempo superiore alle raccomandazioni ufficiali sono:
- Evita di toccare la parte interna ed esterna della mascherina con le mani non igienizzate.
- Non conservare la mascherina in sacchetti di plastica sigillati che favoriscono la proliferazione di batteri e umidità.
- Se la mascherina mostra segni di danneggiamento o si inumidisce, sostituirla immediatamente.
- Sottolineare l’importanza della corretta gestione dei dispositivi individuali, soprattutto in ambienti a rischio come ospedali, scuole e mezzi pubblici.
Sicurezza, ambiente e senso di responsabilità
Le implicazioni ambientali del massiccio utilizzo di mascherine chirurgiche sono ormai sotto gli occhi di tutti: tonnellate di rifiuti vengono prodotte ogni settimana solo nel sistema scolastico, secondo alcuni rapporti che stimano numeri impressionanti e un impatto significativo di CO2 derivante dall’incenerimento dei dispositivi. Questa criticità ha alimentato la ricerca di soluzioni più sostenibili, favorendo la produzione di mascherine in tessuto certificate e la promozione di pratiche di riduzione degli sprechi.
Tuttavia, la ricerca della sostenibilità non deve mai andare a scapito della sicurezza personale e collettiva. L’uso scorretto, il ricorso a procedure “fai-da-te” e la mancata osservanza di raccomandazioni ufficiali possono annullare ogni vantaggio ambientale e aumentare il rischio di contagio per sé e per gli altri. La regola d’oro rimane quella di affidarsi alle indicazioni delle autorità competenti, evitando interpretazioni personali delle informazioni scientifiche, per garantire sia il benessere individuale che un reale rispetto dell’ambiente.
In sintesi, la verità su come trattare le mascherine chirurgiche ruota attorno ad alcuni punti fermi: questi dispositivi sono ideati per un solo utilizzo, non devono essere lavati né sanificati con metodi casalinghi, e ogni eventuale deroga a tali indicazioni dovrebbe sempre essere supportata da dati scientifici solidi e da raccomandazioni aggiornate degli enti sanitari di riferimento. Scegliere consapevolmente la mascherina più adatta e gestirla correttamente è il gesto di responsabilità più efficace nei confronti di sé stessi, della collettività e dell’ambiente.